Per quanto sia sempre garantita la libertà di espressione di ogni individuo, criticare l’azienda per cui si lavora può portare a conseguenze anche gravi: tra queste la perdita del posto di lavoro, ma non solo.
Nell’era digitale in cui i social network sono una parte integrante della vita quotidiana, sempre più persone condividono liberamente le proprie opinioni online. Tuttavia, quando si tratta di esprimere critiche nei confronti del proprio datore di lavoro, il confine tra la libertà di espressione e la diffamazione può diventare molto sottile. Sebbene il diritto alla libertà di pensiero sia garantito in molti paesi, incluso l’Italia, i commenti pubblici sui social media possono avere conseguenze legali importanti per un lavoratore.
Quando una critica diventa troppo pesante o offensiva, l’azienda potrebbe decidere di agire per tutelare la propria immagine e reputazione, avviando un’azione legale per diffamazione. In tal caso, spetterà a un giudice determinare se il commento costituisce un abuso della libertà di espressione e meriti una sanzione. Questo equilibrio tra la tutela dei diritti individuali e la protezione degli interessi aziendali rappresenta un punto cruciale nel panorama giuridico contemporaneo. Ne ha parlato, in un video pubblicato di recente, il dottor Gaetano Iodice, commercialista.
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Tra libertà di espressione e diffamazione
La libertà di espressione è un diritto fondamentale sancito dalla Costituzione italiana all’articolo 21, che stabilisce che ogni cittadino ha diritto a manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. Tuttavia, il diritto alla libertà di espressione non è assoluto e trova un limite nel rispetto dell’altrui dignità e reputazione. Quando un lavoratore critica la propria azienda sui social network, il problema non è tanto la critica in sé, quanto il modo e il contenuto della comunicazione.
Se un commento online risulta lesivo della reputazione dell’azienda, potrebbe scattare l’accusa di diffamazione. Secondo l’articolo 595 del Codice Penale italiano, la diffamazione si configura quando un soggetto offende l’onore o il decoro di una persona (o di un’entità, come un’azienda) in assenza della stessa. Se avviene attraverso un mezzo pubblico come Internet, le conseguenze possono essere ancora più gravi, portando a una pena maggiore rispetto alla diffamazione semplice.
È fondamentale comprendere che la critica costruttiva, anche aspra ma motivata, è generalmente ammessa. Diverso è il caso in cui si superi la soglia della legittimità, con accuse infondate, insulti o espressioni che screditano pubblicamente l’azienda senza alcun fondamento. In situazioni simili, se l’azienda ritiene che il danno alla propria reputazione sia significativo, può decidere di sporgere denuncia per diffamazione.
Si rischia di perdere il posto lavoro e non solo
Quando ciò avviene, spetta al giudice valutare l’effettiva portata del contenuto pubblicato. La giurisprudenza ha più volte ribadito che il diritto di critica deve rispettare i principi di verità, continenza e pertinenza. Il primo implica che la critica debba essere basata su fatti veri, il secondo richiede che la forma della critica non sia eccessivamente offensiva, mentre il terzo stabilisce che la critica debba avere una rilevanza oggettiva rispetto all’argomento trattato.
Un esempio pratico è rappresentato da diversi casi di cronaca, in cui lavoratori hanno perso il lavoro o sono stati coinvolti in cause legali per commenti ritenuti diffamatori. È dunque essenziale che i dipendenti siano consapevoli delle possibili ripercussioni delle proprie affermazioni sui social network, mantenendo un atteggiamento prudente e rispettoso.